241-aeTaxi bloccati molti metri prima, passeggeri costretti a camminare per un po’ e poi a stare in fila prima di entrare e soltanto dopo aver mostrato ai soldati i biglietti e aperto i bagagli. È successo ieri a Charleroi, 70 chilometri a sud di Bruxelles, l’unico aeroporto operativo della capitale belga dopo la chiusura di quello cittadino a Zaventem. Ma anche più giù, a Catania per esempio, è stata una giornata diversa: allo scalo siciliano poteva accedere solo chi doveva partire. Parenti e accompagnatori sono rimasti fuori.

Il «modello israeliano» L’Europa che viaggia si ritrova con qualche certezza in meno e qualche controllo in più. Per non parlare delle polemiche. E del dibattito sull’introduzione o meno di metal detector e body scanner lì dove oggi si entra in libertà: negli aeroporti, nelle stazioni della metropolitana e in quelle ferroviarie. C’è chi propone di imitare Tel Aviv e il «Ben Gurion International Airport», considerato una delle strutture più sicure del mondo e che si basa su una miscela di intelligence, agenti sul campo in grado di interpretare anche i minimi gesti delle persone, utilizzo massiccio della videosorveglianza, controlli ai raggi X e protocolli che cambiano continuamente. «Ma è una richiesta poco sensata: l’edificio israeliano ha molti meno passeggeri di Malpensa o Fiumicino, e tutta un’altra configurazione», spiega al Corriere della Sera Matthew Finn, direttore di Augmentiq, una delle principali società che lavora sulle misure di sicurezza nei trasporti.

«Quello che possiamo fare è studiare il modello dello Stato ebraico». Un «modello» che attira molto: «Negli ultimi due giorni dodici Stati hanno chiesto approfondimenti sui nostri protocolli», rivela un funzionario dell’Autorità aeroportuale israeliana. Intanto la compagnia giapponese All Nippon Airways ha sospeso fino al 31 marzo i voli per Bruxelles, mentre il Dipartimento di Stato Usa ha invitato i connazionali a non viaggiare verso l’Europa o a fare tappa.

 

Leggi l’articolo su
corriere

Ultima modifica: 25 Marzo 2016