Nell’ultimo biennio abbiamo dovuto assistere alle “tirate di orecchie” della multinazionale americana Uber alle nostre istituzioni, considerate ree di non adeguare la normativa sul trasporto persone ai desiderata di quella. L’accusa, sempre la solita: la normativa italiana non consentirebbe innovazione tecnologica e di servizio. Se è vero che quest’ultima, come sottoscritto da ogni sigla sindacale oltre un anno fa, può essere oggetto di rivisitazione per rimuovere alcuni ostacoli normativi, l’accusa della multinazionale è chiaramente pretestuosa e strumentale a stravolgere un comparto che ha le sue stelle polari nella tutela del diritto al movimento di cittadini – e non solo dei più ricchi che possano pagare multipli di prezzo nei momenti di alta richiesta di servizio – e degli operatori del settore che devono poter sostenere ogni giorno e ora dell’anno la propria attività. Infatti, l’attuale normativa ha già consentito lo sviluppo di application  (app) nazionali, diffuse anche in oltre cinquanta città italiane (come itTaxi e AppTaxi), grazie agli investimenti degli operatori del settore – mentre non pochi livelli istituzionali, che dovrebbero essere indipendenti, incuranti di cosa la piccola imprenditoria italiana avesse saputo produrre, enfatizzavano la bontà di app straniere, appena presenti in due città, ma di proprietà di grandi fondi finanziari. Ed altresì, tale normativa ha consentito lo sviluppo di servizi ad hoc, sempre gratuiti per l’utenza, per le donne sole o incinte, per i bambini delle scuole, i disabili, per la clientela di stazioni, aeroporti, porti e teatri, e per la tutela dell’ambiente.

Nel mentre di queste “tirate di orecchi” però, stando alle agenzie di stampa, e dopo oramai sette anni di operatività, Uber ha portato le sue perdite ad una cifra monster tra i 4 e i 7miliardi di dollari ed è stata imputata sul banco dei tribunali di ogni nazione, molte volte con esiti negativi per la stessa. Negli ultimi mesi, poi, tra scandali di natura sessuale con vittime non solo la clientela, ma riguardanti gli stessi dirigenti, gran parte del management si è dimesso o è stato licenziato, fino ad arrivare all’allontanamento di qualche giorno fa del suo ideatore.

Oggi dunque, mentre ci si trova a ridiscutere per la quarta volta in dieci anni, la normativa di settore, rivolgiamo un invito ad un’attenta riflessione al Parlamento, all’organo costituzionale ancora oggi emblema dell’idea di repubblica, della rappresentanza popolare e dell’interesse generale. Infatti, sotto molti punti di vista, quello che rischia di riguardare il trasporto pubblico non di linea (taxi e noleggio con conducente), pare un film già visto. Poco prima del crollo finanziario del 2007/2008, il Paese veniva accusato di arretratezza finanziaria, ma fu proprio questa presunta arretratezza – che poi si dimostrò concreta prudenza – ad evitare agli italiani un livello di salvataggi bancari delle entità di quelli avuti in Usa, Regno Unito, Germania e Francia. Ed oggi, il rischio per il trasporto pubblico non di linea è proprio questo: che una scarsa e obiettiva valutazione del settore, sulla spinta di meta-concetti apparentemente positivi o di una patinata narrativa, porti a “sbudellare” un asset alla vigilia del crack del business model che queste nuove multinazionali del trasporto stanno spingendo aggressivamente, e che autorevoli studi in America, o quello commissionato da U.R.I. e dal 3570 a KPMG advisory S.p.a., hanno dimostrato reggersi solo grazie allo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo e potendo raggiungere velocemente condizioni di mono-oligopolio, per dover poi quadruplicare le tariffe di saldo oggi usate per sbaragliare chi lavora nelle regole. Altro che concorrenza, modernità, risparmio!

E ancora, trattasi di sceneggiatura già vista, se pensiamo allo schema che pare ancora una volta in atto in questo Paese: l’innovazione e la concorrenza non sarebbero altro che pretesti di cui velocemente non parlare più, una volta consegnato anche questo settore a multinazionali straniere (americane o tedesche che siano) o a “capitani coraggiosi”. Cose già viste con monopoli naturali come autostrade o stazioni ferroviarie, dove gli investimenti a cui si erano impegnati i “capitani coraggiosi” sono stati inferiori dell’80%, o dove finanche per i bisogni fisiologici oggi si deve pagare 1€ per bagni che non funzionano per giorni. Oppure, lo stesso schema lo si è visto sul trasporto pubblico locale di linea di alcune città: consegnato a nuovi azionisti privati, rimesso adesso a logiche di mercato invece che di necessità pubblica, a cospetto di linee tagliate perché poco remunerative, ha visto sistematici aumenti del costo del biglietto ed interventi di aiuto pubblico. Così, si sono privatizzati gli utili che prima erano pubblici, e pubblicizzate le perdite che già pubbliche erano! E’ questa l’innovazione, la modernità o la concorrenza che si vuole regalare al Paese?

Dunque, per quanto riguarda il trasporto pubblico non di linea, il rischio che si sia di fronte ad un pretestuoso ripetersi di questa sceneggiatura, è quanto mai evidente e grottesco.

 

Claudio Giudici

Presidente Nazionale Uritaxi

 

Ultima modifica: 26 Giugno 2017