Uber rischia di dover “cambiare pelle”, se vuol continuare a operare in Europa: difficilmente potrà ancora dichiararsi come semplice intermediario tra cliente e autista, ma probabilmente dovrà essere considerato un operatore del trasporto pubblico e come tale dovrà rispettare tutte le regole che gli Stati Ue impongono a livello nazionale. Prima fra tutte, l’obbligo di avere una licenza propria.
Vanno in questo senso le conclusioni che stamattina l’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) ha reso note nell’ambito di una causa tra un’associazione di tassisti di Barcellona e la multinazionale americana che con la propria app da qualche anno ha contribuito a cambiare il trasporto locale, perlomeno nelle grandi città.

Secondo l’Avvocato generale, non si può affermare che Uber sia solo un intermediario, perché la app influenza direttamente o indirettamente vari aspetti del servizio che gli autisti affiliati erogano in proprio al cliente. Infatti, per esempio, tramite la app è la stessa Uber a fissare tariffe e requisiti di qualità.
Questo è un ragionamento analogo a quello che un mese fa ha svolto il Tribunale di Roma nel provvedimento con cui ha ordinato il blocco del servizio in tutta Italia. Uber nel frattempo continua a operare nel nostro Paese perché ha poi ottenuto la sospensione del provvedimento, ma il problema si pone comunque. Tanto più dopo le conclusioni dell’Avvocato generale rese note oggi, specie se dovessero essere fatte proprie dalla Cgue. In questo caso, verrebbe sancito a livello europeo il principio secondo cui Uber non è da classificare solo come un servizio della società dell’informazione, che come tale godrebbe del regime di libera prestazione di servizi.

Essendo da classificare come servizio di trasporto, dovrebbe verosimilmente avere licenze in proprio, conseguite in ogni Stato secondo le regole nazionali, quindi non potrebbe più operare attraverso i singoli autisti. E questo è l’aspetto discusso nella controversia spagnola su cui oggi si è pronunciato l’Avvocato generale.

Ma il principio dovrebbe valere anche per la controversia di Roma, nella quale si discute invece di concorrenza sleale nei confronti del taxi: se Uber viene riconosciuto direttamente come operatore in proprio, diventa più facile sostenere che sia un diretto concorrente dei tassisti, come è stato fatto appunto davanti al Tribunale di Roma per dimostrare che c’è concorrenza sleale.

Se la Cgue dovesse confermare le conclusioni dell’Avvocato generale, il principio varrebbe in tutta Europa. E in Italia darebbe ulteriore forza ai rappresentanti dei tassisti nel braccio di ferro ingaggiato in sede governativa con quelli degli Ncc (noleggiatori con conducente, in cui gli autisti Uber rientrano). La riforma del settore, che dovrebbe essere il frutto delle trattative, potrebbe dunque essere più favorevole ai tassisti, che dalla loro parte hanno già dimostrato di avere un peso elettorale è la capacità di bloccare le città con manifestazioni anche violente come accaduto il 21 febbraio a Roma.

 

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Ultima modifica: 11 Maggio 2017