528-rmProteste sfociate in blocchi del traffico e in striscioni a dir poco irriverenti. In tutta Italia monta la rabbia dei tassisti contro la Uber, azienda nata a San Francisco nel 2009, che offre un servizio di trasporto in auto, disponibile a Genova, Milano, Torino, Roma. Ma la app usata dall’impresa è stata dichiarata fuori legge in diversi Paesi, Germania e Francia compresi; il servizio offerto, in sostanza, sarebbe abusivo.

Come ribadisce Loreno Bittarelli, cinquantacinquenne presidente della Uri (Unione Radiotaxi Italiani) e della cooperativa Radiotaxi 3750 di Roma, che conta oltre 3 mila vetture.
Per voi si tratta di esercizio abusivo della professione da parte della Uber?
«Con la prepotenza di essere impunita, l’azienda Uber continua a operare grazie al lassismo di tutti, istituzioni comprese: è l’arroganza del capitale che si afferma nei confronti di chi lavora. È un sistema abusivo che va oscurato e stoppato, com’è già avvenuto in molti Paesi del mondo; non si capisce perché in Italia, invece di far rispettare le regole, si dilatino o deformino. Tuttavia lo stesso ministro dei trasporti Maurizio Lupi ha dichiarato che Uber usa in maniera abusiva lo strumento delle app. Intanto la polizia municipale fa il possibile, ma è difficile andare a colpire l’ultimo anello della catena, cioè il poveretto che si improvvisa tassista perché ha problemi di sopravvivenza, di disoccupazione. Così vediamo lavorare macchine private con autisti senza requisiti di professionalità né le idoneità a noi richieste. Non c’è parità di regole».
Ma a suo parere quali devono essere i confini leciti della protesta e della rivendicazione?«Come Uri ci siamo subito dissociati da qualsiasi forma violenta di protesta, anche se la prepotenza della Uber è altrettanto grave. Nei giorni scorsi ero a Torino e, oltre agli applausi, ho ricevuto anche fischi mentre cercavo di far capire che abbiamo ragioni da vendere dalla nostra parte. Crediamo che esista la giustizia e non vogliamo arrivare a blocchi stradali o a gesti di intolleranza di qualsiasi natura. Se è vero che in un Paese civile come il nostro le normative sono state scritte per la convivenza pacifica dei cittadini, siamo convinti che non possa vincere la violenza».
In alcuni striscioni è comparsa addirittura la frase “Je suis taxi”: non le sembra a dir poco irriverente echeggiare la strage avvenuta a Parigi?
«Un’espressione troppo colorita del disagio della categoria. Certamente non è giustificabile, ma lo stato d’animo dei colleghi è talmente inasprito che è difficile da contenere. La rabbia e l’esasperazione stanno montando: mentre loro sono fermi al posteggio, vedono la macchina privata di Uber con le doppie frecce che attende il cliente ma non paga le tasse… Ho parlato con un collega che in una notte di lavoro ha incassato 40 euro lordi, da cui detrarre almeno il 50 per cento di spese fra tasse e benzina… Capisce perché la rabbia esplode? Anche se non è un comportamento da giustificare».
E cosa dice dei cartelli con minacce davanti alla casa di Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber in Italia?
«Non abbiamo condiviso, anzi abbiamo condannato questi gesti e azioni. Ma bisogna vedere se sono stati compiuti proprio dai tassisti: la multinazionale non è nuova a episodi di sabotaggio e di chiamate finte. Siamo sicuri che proprio i tassisti abbiano appeso lo striscione con le minacce? Non voglio insinuare nulla, ma se non fossero stati i tassisti si tratterebbe di illazioni gratuite verso la categoria per metterla in cattiva luce. Al momento non ci sono prove che siano stati alcuni tassisti, se ci saranno saremo i primi noi a emarginare le mele marce».
Venite tacciati di essere “poco tecnologici” rispetto ai guidatori Uber. Come risponde?
«La nostra app “It taxi” funziona dal maggio 2012 – ben prima di Uber pop – e copre 47 città d’Italia, mentre Uber è presente in 4 capoluoghi. Tramite app il nostro servizio è collegato con 12mila tassisti, si può richiederlo e prenotarlo tranquillamente con il proprio smartphone. A livello tecnologico non abbiamo nulla da invidiare e da temere, anzi: la sfida ci entusiasma. Solo che noi dobbiamo rispettare delle regole e c’è chi – con la “scusa” e il pretesto dell’innovazione – vuole violare queste regole: si tratta di concorrenza sleale».
Pensate di adire alle vie legali contro la Uber?
«Se ci saranno azioni da intraprendere non ci tireremo indietro, lo stiamo valutando con i nostri legali. Se poi si cuciono le leggi su misura… Non vogliamo difendere la “lobby” e la “casta” dei tassisti, come ha affermato qualcuno, ma l’interesse dei nostri utenti, che ci danno da mangiare. Un cittadino deve poter utilizzare un servizio pubblico come il taxi, che gli garantisca tranquillità, che sia un presidio di sicurezza per l’utente. In alcuni Paesi dove Uber opera è successo che l’autista del taxi fosse contemporaneamente uno spacciatore o che abbia usato violenza nei confronti dei passeggeri».

 

 

Ultima modifica: 21 Febbraio 2015