La sentenza del TAR Umbria n. 572/2025 rappresenta una decisione di primo grado, dunque limitata al solo caso concreto e priva di efficacia generale. Essa non costituisce giurisprudenza e non ha valore giurisprudenza di riferimento; il suo impatto si limita alle parti coinvolte e al procedimento amministrativo oggetto di esame. È infatti principio consolidato che, in materia di servizi pubblici non di linea come il noleggio con conducente, la parola definitiva spetti sempre al Consiglio di Stato, che costituisce organo superiore e ha più volte ribadito, anche recentemente, una lettura sistematica e rigorosa della normativa, in particolare per ciò che attiene il vincolo territoriale e la funzione locale del servizio NCC.
Il quadro normativo di riferimento è ancorato alla legge quadro n. 21 del 1992, che all’articolo 3 stabilisce che il servizio di noleggio con conducente si rivolge a un’utenza specifica che avanza richiesta presso la sede o la rimessa del vettore, con l’obbligo di stazionamento dei mezzi all’interno delle rimesse. L’articolo 3, modificato dalla legge 12/2019, ha ribadito la necessità che la sede operativa e almeno una rimessa siano situate nel territorio del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione. Non meno rilevante è l’articolo 11 della stessa legge, che disciplina gli obblighi dei titolari di autorizzazione e, in particolare, le modalità di esercizio del servizio e le condizioni di legittimità per la permanenza del titolo. Tali norme sono state oggetto di attuazione attraverso una serie di decreti ministeriali, tra cui il recentissimo DM RENT n. 203/2024 e il DM sul foglio di servizio elettronico, che hanno fissato parametri tecnici, sistemi di controllo e procedure di verifica che delineano oggi i confini dell’applicazione della normativa nazionale.
Va poi ricordata la pronuncia della Corte Costituzionale n. 56/2020, che ha inciso sul vecchio obbligo di rientro in rimessa ad ogni fine corsa, dichiarandone l’illegittimità per contrasto con il principio di ragionevolezza. La Consulta, però, ha lasciato intatto il fondamento territoriale della disciplina, ribadendo che l’autorizzazione NCC viene rilasciata per soddisfare le esigenze della comunità locale, che il servizio deve essere effettivamente reso in favore dell’utenza del territorio di rilascio e che ogni deroga a questo principio comporta la perdita di ragion d’essere del titolo abilitativo. Questa impostazione è stata ulteriormente precisata e ribadita dal Consiglio di Stato, che, nelle fondamentali sentenze di San Giovanni Teatino, Acquapendente e Sanremo, ha stabilito che la sussistenza della rimessa e il rispetto delle condizioni di esercizio sono condizioni necessarie ma non sufficienti: ciò che conta, ai fini della legittimità del titolo, è la prova di una effettiva, costante e funzionale operatività sul territorio che ha rilasciato l’autorizzazione.
Risulta pertanto fuorviante ogni lettura che, partendo da una sentenza di TAR come quella di Nocera Umbra, pretenda di dedurne regole generali o addirittura una “liberalizzazione di fatto” dell’attività NCC. È vero che il TAR Umbria ha ritenuto, nel caso specifico, che il Comune dovesse dotarsi di un regolamento più esplicito sulle modalità di verifica dell’attività svolta sul territorio e sulle soglie minime di presenza, e che la sospensione disposta sulla base di mere presunzioni o senza accertamenti puntuali potesse risultare arbitraria. Tuttavia, tale valutazione resta circoscritta al caso concreto, non ha alcuna efficacia erga omnes e, soprattutto, appare destinata a essere superata da un eventuale intervento del Consiglio di Stato, il quale, come già accaduto in fattispecie identiche o analoghe (si veda proprio il caso Sanremo), ha sancito che non basta la mera dichiarazione di una rimessa, né è sufficiente una sporadica attività locale per mantenere il titolo NCC.
Emblematico, da questo punto di vista, è proprio il caso Sanremo: qui il rappresentante dell’organizzazione sindacale Anitrav, che ora esalta la sentenza del TAR Umbria come se fosse risolutiva di ogni contrasto, è stato destinatario di una revoca definitiva dell’autorizzazione da parte del Consiglio di Stato, che ha chiarito una volta per tutte che il servizio di NCC deve essere esercitato nel territorio per cui è stato rilasciato il titolo e che il vincolo territoriale non è elemento secondario o formale, ma rappresenta la vera ragione d’essere dell’autorizzazione stessa. Il Consiglio di Stato non si è limitato a ribadire l’importanza della rimessa, ma ha richiesto che vi sia una effettiva attività, funzionale e non solo occasionale, a beneficio della collettività locale. In sostanza, non ci sono due pesi e due misure, ma una sola bilancia, un solo peso e una sola misura: il servizio NCC nasce per rispondere alle esigenze di mobilità della comunità locale e solo in via accessoria può operare al di fuori di tale contesto, in assenza di servizio taxi o in presenza di specifici bisogni individuati dagli enti competenti.
Risulta quindi chiaro che l’interpretazione offerta da alcune sigle sindacali, che leggono nella sentenza del TAR Umbria una sorta di “liberatoria” per l’esercizio extra-territoriale dell’NCC, è infondata sul piano giuridico. La normativa si cambia in Parlamento, non nei Tribunali amministrativi regionali, e ogni tentativo di manipolare il senso delle sentenze per scopi di categoria si scontra inevitabilmente con l’indirizzo superiore e costante del Consiglio di Stato, con la lettera della legge e con i decreti attuativi ministeriali che oggi, anche attraverso strumenti come RENT e il foglio di servizio elettronico, permettono di monitorare e sanzionare in modo più preciso gli abusi.
In definitiva, la sentenza del TAR Umbria resta confinata a un episodio locale e, seppure rappresenti uno stimolo per i Comuni ad adottare regolamenti più dettagliati e ad agire con istruttorie più approfondite, non modifica la cornice normativa di riferimento né l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato.
Ufficio Studi Uritaxi
Ultima modifica: 30 Giugno 2025