Uber: sulla carta non c’è niente di male, anzi, si tratta di qualcosa che dovrebbe favorire gli utenti, che così avrebbero un servizio più veloce ed efficiente. Ma le cose stanno proprio così?
All’inizio Uber si rivolse alle compagnie Ncc (Noleggio con conducente) che sono compagnie di professionisti che, a differenza dei taxisti, non prendono corse su strada, ma su prenotazione e cercano di fidelizzare una clientela fissa. Ad esempio, a Roma spesso lavorano con gli alberghi. E ciascuna compagnia cerca di costruirsi un suo portafoglio utenti, ragion per cui l’offerta di Uber è caduta nel vuoto. Infatti chi già ha un suo seguito di clienti, non si vede che vantaggio avrebbe a pagare il 20% ad Uber che offre al massimo un servizio utile per trovare clientela su strada.
Anzi le Ncc sono state le prime a denunciare l’invasione di mercato. Uber ha dovuto accontentarsi delle Ncc di disperati che non hanno un portafogli sufficiente, poca roba in sé, ma ottimo alibi per agganciare gli abusivi totali, quelli che non hanno nessuna licenza, non pagano assicurazioni speciali, non pagano tasse e fanno tutto in nero. A questo punto, ci si aspetterebbe che a rivoltarsi per prime fossero le istituzioni: i comuni che vedono evadere le licenze ed il Ministero dell’economia per le tasse.
E, invece, no, all’improvviso, tutti diventano comprensivi: quando si tratta di multinazionali come Uber, si sa, diventa tollerabile anche l’evasione fiscale dei piccoli. E’ ovvio che i privati abusivi possano fare prezzi più bassi non pagando tasse, licenze, assicurazioni speciali e, soprattutto, non facendolo professionalmente, ma nei ritagli di tempo, come integrazione extra, ma, in questo modo, si buttano fuori mercato i taxisti professionali. Che naturalmente, per la sinistra fighetta da salotto e da terrazza romana, sono solo una corporazione che deve arrendersi al “progresso” tecnologico. La sinistra radical chic (che è moralmente più spregevole della destra berlusconiana) ha in orrore i diritti collettivi, ed è convinta che i problemi reali siano le piste ciclabili, l’arredo urbano, ecc.
E la giunta milanese che è il più perfetto esempio di sinistra al cachemire che si possa immaginare, non ha deluso le aspettative delle multinazionali alla Uber: un colpo al cerchio, uno alla botte e poi aspettiamo cosa dice il giudice, magari dimenticando di aver incassato soldi per le licenze dei taxi cui dovrebbe garantire l’esclusiva del servizio, altrimenti non si capisce perché la gente debba pagare il Comune. Qui la questione va ben al di là dei taxisti. Questo è solo uno degli aspetti dell’attacco al lavoro autonomo.
Da venti anni, l’offensiva neo liberista ha preso di mira il lavoro dipendente privandolo di ogni garanzia, allungando gli orari ed abbassando i salari, ma soprattutto precarizzandolo. Ormai il “lavoro dipendente garantito” riguarda solo gli ultracinqantenni (non rimpiazzati man mano che vanno in pensione) ed una piccola minoranza di fortunati che ancora godono di un posto di lavoro “a tempo indeterminato”.
Ora l’attacco si volge al lavoro autonomi: artigiani, commercianti, piccoli imprenditori , contadini, professionisti tutti tartassati da una pressione fiscale insostenibile (ormai rappresentano il maggior gettito, dopo lo svuotamento del lavoro dipendente e la fuga dei grandi capitali nei paradisi fiscali), vessati da regolamenti assurdi e, soprattutto, stritolati dalle grandi imprese. I commercianti devono vedersela con la grande distribuzione che mette fuori mercato anche gli artigiani, i professionisti sono sempre più insidiati dagli studi associati che a volte sono mega strutture di migliaia di professionisti che hanno ancora parvenze di lavoro autonomo, ma che, in realtà sono solo dipendenti di un piccolo gruppo imprenditoriale, i coltivatori si trovano schiacciati fra l’incudine dei prodotti provenienti dai paesi emergenti ed il martello della grande distribuzione.
Quanto ai piccoli imprenditori. sono l’altra faccia del “lavoro dipendente garantito”: o accettano di lavorare in nero, al di fuori di ogni tutela sindacale e di vivere della committenza parcellizzata della grande impresa globale. L’obiettivo è ridurre alla precarietà anche il lavoro autonomo. La sinistra, che non ha mai capito quanto fosse politicamente importante conquistare i lavoratori autonomi, ha accettato la demenziale prospettiva della guerra fra poveri, fra lavoro dipendente e lavoro autonomo sul piano dell’evasione fiscale (guardandosi bene dall’aprire il discorso dell’evasione ed eluzione fiscale dei grandi patrimoni).
Ma l’unica strategia vincente nei confronti del grande capitale multinazionale è nella formazione di una grande alleanza del lavoro fra dipendenti, autonomi e precari. Ma queste cose la sinistra istituzionale non le vuole e non le cerca. E’ una sinistra sostanzialmente antipopolare.
fonte: aldogiannuli.it
Ultima modifica: 26 Luglio 2014