213-euPer molte persone, questo articolo – che avrà un seguito – conterrà verità inaccettabili.

Noi le pubblicheremo comunque.
Consci del fatto che, nonostante il lavaggio del cervello mediatico, sempre più persone vogliono sapere, capire, informarsi e – solo dopo – formarsi una propria libera opinione.

Vi presentano la questione attraverso dei dogmi: se usciamo dall’Euro saremo un Paese del terzo mondo e finiremo sul lastrico, dobbiamo invece “tirare la cinghia” e tagliare la spesa pubblica, si deve ridurre il debito pubblico.

Tutto questo, che ha portato alla povertà dilagante di questo e altri Paesi – la Grecia e la disperazione del suo popolo affamato e senza cure mediche è lì a indicarci quale sia per noi la strada già segnata – è giustificato in nome di un mantra, ripetuto ogni giorno, con ossessiva pervicacia, su tutti gli organi di informazione: lo vuole l’Europa.

Ma, a ben vedere, c’è solo un piccolo equivoco semantico: lo vuole l’Euro.
Ma cos’è, alla fine, questa parola, che – da sola – tanto ha cambiato la nostra vita?

GUERRA E PACE
Per rispondere a tale domanda dobbiamo studiare la storia e contestualizzare le scelte nei periodi storici in cui furono fatte.
L’Unione Europea non è sempre stata il lager finanziario antidemocratico nel quale viviamo oggi.

In passato non era così.
Perlomeno nelle intenzioni e negli ideali di coloro che erano in buona fede e che hanno creduto nel cosiddetto sogno europeo, noi per primi. Per capire cos’è andato storto occorre ricostruire le fasi cruciali del processo di integrazione europea, dagli ideali mazziniani di una Europa libera e unita fino ai giorni nostri, nei quali il sogno si è trasformato in un incubo. Un incubo reale.

Ma si deve partire dal sogno, perché il sogno esisteva.
Quale era, al nocciolo, la motivazione fondamentale, quella più profonda, quella essenziale, alla base della decisione di formare una Europa Unita?

Semplice: evitare la guerra.

Questa è la vera ragione, storica, per la quale si voleva realizzare un sogno che – in realtà – non si è avverato: l’Europa Unita.

La ragione era evitare ciò che, per secoli, avevamo conosciuto: guerre tra la nazioni europee.

La storia europea è sempre stata caratterizzata da profonde inimicizie e guerre sanguinose. Era quindi inevitabile che ad un certo punto sbocciasse il sogno di una Europa unita, specialmente dopo i due conflitti mondiali del secolo scorso.

Ma se quello era il sogno politico, ogni politica si regge sull’economia. Per prima cosa occorre allora comprendere l’attuale modello economico mondiale.

Ogni giorno leggiamo sugli organi di informazione un mantra articolato in due salmi, che ci vengono propinati come litanie religiose e come tali indiscutibili.

Chiunque, all’apparenza, considererà queste due affermazioni verità incontestabili.
La prima domanda che – tuttavia – dobbiamo porci è la seguente: un modello economico mondiale basato unicamente sul libero mercato e sulle esportazioni è giusto?

IL PRIMO INGANNO: IL DESIDERIO DI POSSEDERE
No – cazzo! – assolutamente no.
Quel “cazzo!” sta ad indicare la rabbia incontenibile che proviamo quando si fa passare al grande pubblico come indiscutibili verità delle immense castronerie, peraltro smentite dai fatti.

Ed ora andiamo ad argomentare tecnicamente il perché.
Lo faremo ponendo una semplice – apparentemente stupida – domanda.
Dopo che l’avremo posta, qualcuno penserà che sia scontata, la risposta.
Ciò che non è scontato è il fatto che, da decenni, una massa enorme di persone non se la sia posta.

Qualunque persona sana di mente non può che comprendere l’assurdità di tale ipotesi.

Eppure – duole farvelo notare – sulla base di questo primo inganno è partita tutta la storia che vi stiamo raccontando.

Non è pensabile un sistema mondo basato unicamente sulle esportazioni (fra i principali capisaldi della teoria neoliberista) dove tutti esportano più di quanto importano, poiché un modello economico di questo tipo è predatorio, è una partita a carte dove qualcuno deve soccombere in favore del più forte.

Perché?

Infatti, i paesi che esportano più di quanto importano, pur se transitoriamente, generano inevitabilmente fallimenti e disoccupazione nei paesi fratelli (importatori) dove appunto cala la produzione nazionale legata alle importazioni che la rimpiazzano.

Ma qui, occorre aggiungere un pezzo al ragionamento. Quando conviene importare?

Importare conviene con una moneta forte, così come lo è l’euro.
Fantastico – hanno pensato milioni di persone – in Italia abbiamo l’euro, quindi possiamo comperare, cioè importare.

Peccato che le cose che vengono importate si producano all’estero e creino ricchezza nei paesi esportatori.

E così, dall’oggi al domani, ciò che non potevamo prima permetterci, diventiamo in grado di acquistare. Ci sentiamo più ricchi, mentre in realtà stiamo diventando più poveri.

Ma dato che non ci piace far dotte lezioni di macro economia, parleremo il linguaggio del pane e salame, perché di soloni che con le parolone confondono le idee alla gente ve n’è già in abbondanza.

Scusaci tanto, ma – per chi ha memoria – quante di queste auto vedevamo nelle nostre strade, prima dell’euro?

Anticipiamo qui che non a caso abbiamo scelto l’industria automobilistica, come esempio per farti capire.

Te lo diciamo in un orecchio, tanto sappiamo che se sei indottrinato dal sistema del pensiero unico non condividerai questo articolo: la distruzione della principale industria italiana era un effetto – collaterale, magari – ampiamente pianificato e previsto per abbassare le ali di una potenza industriale: l’Italia, trasformandola da produttrice a mera consumatrice.

Ma su questa negata verità storica, torneremo alla prossima puntata.

Qui torniamo a farti notare un dettaglio, perché nei dettagli stanno le cose importanti.

Un dettaglio che i liberisti quasi sempre trascurano: importando beni si esportano capitali.

Nel mercato delle esportazioni, inoltre, è difficile competere con i cosiddetti “paesi emergenti” dove il costo del lavoro è bassissimo, i lavoratori non hanno tutele di alcun tipo e non vengono rispettate norme ecologiche.

Ecco, questa cosa ha un nome: libero mercato.

La verità è un’altra.

Eppure, se ritorni alle due litanie iniziali – la fede cieca nel libero mercato e nelle esportazioni – tutto questo non accade.

In realtà quello che accade è che molte aziende, in particolare le grandi multinazionali, vanno a produrre nei paesi meno sviluppati dove i lavoratori vengono sfruttati con salari ridicoli.

Ecco, lo abbiamo detto: e ora cominci a intuire cosa stia dietro al tema del libero mercato e – forse – al disegno mondiale che ti andremo a spiegare.

IL SECONDO INGANNO: LA LIBERTA’
Ma allora perché il 99% degli economisti che sentiamo parlare nelle trasmissioni televisive di approfondimento non criticano questo modello economico?

Semplice: la scienza economica non è neutra, poiché sposa il punto di vista settoriale della sezione apicale del blocco sociale dominante. Gli economisti che vanno avanti, che fanno carriera e che si vedono sempre in tv o che scrivono gli editoriali sulla stampa economica, sono coloro che sposano e difendono l’attuale teoria economica liberista che, sconfitta con la seconda guerra mondiale ma tornata in auge grazie alla contro-rivoluzione reaganiana e thatcheriana dei primi anni 80, ancora oggi detta legge e, ahinoi, si studia nei Dipartimenti di Economia, nei centri di ricerca, nei convegni.

Diremo di più: la politica, al servizio della finanza, ha ordinato alla scienza – pagandola – di convalidare le scelte dei finanzieri.

Nasce così, a partire da un certo periodo storico, il pensiero unico in economia, che è in realtà un pensiero dominante, simbolo stesso di quella volontà di dominio di cui diventa il sostenitore ideologico.

L’ideologia neoliberista è talmente forte e radicata che da molto tempo ormai si parla di “pensiero unico in economia”, termine coniato inizialmente dall’ex direttore del quotidiano Francese “Le Monde Diplomatique”, Ignacio Ramonet.

Il pensiero unico in economia corrisponde con il pensiero liberista.

Cos’è in realtà il pensiero liberista?
Non è altro che lo studio dell’economia attraverso una ricostruzione (fantasiosa e intelligente) del funzionamento del sistema economico capitalistico e si basa su assiomi. Il pensiero liberista, in sostanza, prende in esame una serie di fatti che sono falsi o letti in maniera errata, nonché collegati in modo altrettanto errato.

Ogni proposizione rimanda la sua spiegazione ad un’altra, la quale a sua volta la rimanda ad un’altra ancora e così via, ma nel rimando reciproco danno l’illusione di stare tutte in piedi.

Ma, in realtà, è un modello predatorio.
Si basa sulla iniquità e sulla prevaricazione del forte sul debole.
Se non che, poiché ogni uomo si sente forte e non debole, intelligente e non stupido, predatore e non preda, pensa in cuor suo – cinicamente – che quella tesi debba avvantaggiare lui.

Così non è, perché i forti, coloro che sanno, i predatori, sono pochissimi.
Qualsiasi teoria o soluzione liberista prevede sempre un drenaggio di ricchezza dalle classi più povere in favore di quelle più ricche. D’altronde la ricetta è sempre la stessa per qualunque patologia economica: recessione e sperequazione.

IL TERZO INGANNO: LA MORALE
Ma perché un inganno possa funzionare a lungo, è necessario confondere le menti delle persone, attingendo alla sfera emotiva.

Dato che l’economia dovrebbe essere una scienza razionale, al fine di non far ragionare le persone, si sono negli anni inculcate nelle loro menti delle leggende, dei dogmi, delle litanie religiose. A tutti gli effetti, da diversi pulpiti, qualcuno ha quotidianamente inculcato nelle anime delle pecorelle smarrite sensi di colpa e vergogna, tramite indiscutibili – essendo una fede – sermoni.

Uno degli aspetti più squallidi del pensiero unico in economia è il moralismo, attraverso un dibattito giornalistico totalmente asimmetrico riguardo alla rappresentazione dei fatti. Eccovi alcuni esempi di ragionamenti totalmente fuorvianti, che la maggior parte di voi considererà come dogmi indiscutibili.

Oh, se sono stati bravi a farvi il lavaggio del cervello!
E’ proprio a causa di questa ideologia contrabbandata con la totale complicità della cialtroneria mediatica che l’economia appare, agli occhi della gente comune, non più una scienza ma un’opinione.

LE RAGIONI STORICHE
Se questi sono i tre inganni alla base della storia, torniamo ora al tema principale dell’articolo: l’Unione Europea.
Molti pensano, errando, che l’idea originale fosse a trazione tedesca. Così non fu, perché un ruolo fondamentale fu dei francesi.

Anche i padri fondatori del sogno europeo – come Pierre Mendès France – sapevano quanto arduo fosse il processo di unificazione politica europea. Nonostante tutto il progetto di integrazione, intrinsecamente utopistico, venne comunque perseguito e fu fatto fondamentalmente per evitare nuovi contrasti – e quindi anche eventuali conflitti – tra Francia e Germania, le quali storicamente sono sempre state entrambe ostili tra di loro.

Ma quali erano le ragioni del contesto storico che è alla base della moneta unica come oggi la conosciamo?
Le ragioni per le quali il processo di unificazione europea ha avuto tanto successo sono essenzialmente tre.

La prima era la minaccia sovietica che ha contribuito alla
coesione fra i paesi europei.

La seconda era – direttamente correlata alla prima – la spinta americana, favorevole all’integrazione.

 La terza era la debolezza degli Stati nazionali, in particolare la Germania e l’Italia che escono alla fine del secondo dopoguerra rispettivamente dal nazismo e dal fascismo.

Questi due Paesi, responsabili di aver causato la guerra e per questo consapevoli di dover abbandonare le posizioni nazionali – a differenza di Francia e Inghilterra – vogliono evitare il ripetersi degli errori storici e per questo favoriscono più di ogni altro Paese la creazione di istituzioni sovranazionali.

All’inizio, infatti, sembrava più un’operazione da idealisti, se pensiamo ad esempio alle parole di Robert Shuman o di Altiero Spinelli.

Molti altri politici si accodarono, inondando i comizi di apparenti slanci ideali.

In realtà, con il tempo si è scoperto che di idealismo ce n’era ben poco, anzi: quelle parole lette con gli occhi di oggi dimostrano una evidente volontà oligarchica e, inoltre, nascondevano un preciso interesse geostrategico da parte degli Stati Uniti affinché l’Unione Europea prendesse corpo.

Si commette un grande errore nel pensare che l’Unione Europea sia stata creata – come taluni narrano – come modello antagonistico rispetto al potere americano. Gli americani hanno sempre ritenuto che una Unione Europea fosse funzionale ai loro interessi, convinti che essa non avrebbe mai avuto la forza politica, economica e militare per porsi come alternativa concreta agli Stati Uniti.

Col senno del poi, sventuratamente, avevano ragione.

IL DOCUMENTO SEGRETO
Dietro gli slanci ideali, come si è visto, esistevano interessi strategici e geopolitici, che di ideale nulla avevano, se non di occupazione dello spazio vitale e di negazione di spazio vitale all’odiato nemico: l’URSS.
Nessuno dice una cosa che turberà molte coscienze libere.

I movimenti federalisti, cioè quanto di più nobile ricordiamo del periodo fondativo dell’Unione Europea, furono finanziati da un soggetto che non ha messo annunci sui giornali, non si è mai sentito nei telegiornali della sera e non è mai stato oggetto di pubblicazioni scientifiche sul tema dell’Europa unita.

Documenti segreti declassificati del governo americano dimostrano che fu la CIA a sostenere i movimenti nascenti per il federalismo europeo negli anni ‘50 e ‘60.

Fu la CIA che fondò e diresse il movimento federalista europeo.

Fu la CIA a dare istruzioni per creare il futuro parlamento europeo.

Fu la CIA a finanziare, attraverso sponsor americani, i leader federalisti, dal citato Robert Shuman al primo ministro Belga Paul-Henri Spaak.

Fu la CIA a mettere a libro paga il Direttore del movimento, il Belga Baron Boel, che riceveva mensilmente dei pagamenti su conti speciali.

Fu sempre la CIA a finanziare la nascente Europa, attraverso fondi speciali segreti, ufficialmente con i contributi di fondazioni quali la Ford e la Rockefeller.

Ah, ma voi siete dei complottisti! – urlerà indignato il lettore filo governativo – Sono le vostre opinioni!

Niente affatto.
Oggi, con internet, basta sapere cosa e dove cercare.
Quello che qui stiamo raccontando è pubblico, sebbene sia stato pubblicato da un solo giornale al mondo.

Per la precisione – guarda tu la casualità delle date – in un periodo in cui stava entrando in vigore la nuova moneta: l’euro.

In un articolo del 19 settembre del 2000, il quotidiano inglese The Telegraph rese noto che da una serie di documenti desecretati del governo americano si evince chiaramente come i servizi segreti americani condussero negli anni 50 e 60 un’ampia campagna al fine di dare slancio al progetto di una Europa unita.

Quello che abbiamo qui pubblicato è verificabile da chiunque desideri (e conosca l’inglese) al seguente link del Telegraph.

I documenti vennero trovati da Joshua Paul, un ricercatore della Georgetown University di Washington, tra i files resi pubblici dai National Archives. Venne fuori che l’intelligence americana finanziò e diresse il Movimento Federalista Europeo, e che lo strumento principale per il controllo e la redazione dell’agenda europea fu l’ACUE (American Commitee for a United Europe), fondato nel 1948. Un memorandum datato 26/07/1950, e firmato dal generale William J. Donovan (capo dell’OSS), fornisce istruzioni precise riguardo una campagna per promuovere la creazione di un Parlamento Europeo.

Questo articolo del Telegraph, che pure conteneva dirompenti e sconvolgenti rivelazioni, non venne mai ripreso da nessun altro media.

Che strano.
Chissà che questo articolo possa uscire dal nostro blog.

IL PARADOSSO DELL’EURO
Alla fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 accade qualcosa di importante: la fine dell’Unione Sovietica.

Venuta meno, quindi, la minaccia esterna, il processo di coesione europea si raffredda pur rimanendo l’esigenza dal punto di vista economico di una rappresentanza in forma unita a livello internazionale. Vengono meno anche gli interessi geostrategici da parte degli americani e, paradossalmente, il processo di integrazione europea – intrapreso nel secondo dopoguerra – genera l’effetto opposto dando luogo ad un importante rafforzamento degli Stati nazionali che iniziano ad essere restii al processo di Unione Europea.

Contemporaneamente però, la stessa crisi dell’Unione Sovietica e la conseguente caduta del muro di Berlino accelerano fortemente il processo di creazione di una moneta unica.

Arriviamo ad un altro paradosso, il più importante di tutta la questione europea: la moneta unica nasce proprio nel momento in cui venivano meno le ragioni di una unità politica dell’Europa. Se poteva esserci un modo per partire con il piede sbagliato, questo è stato senza dubbio il peggiore di tutti.

L’idea di una Europa federale prevedeva il superamento della sovranità nazionale in favore di una soluzione del tutto analoga a quella degli Stati Uniti. Come già detto in precedenza, mentre Germania e Italia condividono questa modello, la Francia e l’Inghilterra non hanno mai accettato l’idea di un trasferimento di poteri e di sovranità ad un governo federale europeo, tutt’al più un insieme di Stati, una collaborazione internazionale.

L’INGANNO CAMBIA FORMA
Quindi, a un certo punto si porta avanti comunque l’idea di una Europa unita.
Ma l’idea di una Europa unita e federale aveva senso? E’ possibile una unione politica fra Stati completamente diversi fra loro? Pensiamo solo alle lingue, alle singole culture e individualità: è pertinente l’esempio degli Stati Uniti, del Canada o dell’Australia?

No, affatto.
E per un motivo molto semplice: come sono nati gli Stati Uniti d’America?
C’era una volta un Paese; un bel giorno arriva una forte potenza colonizzatrice, fa tabula rasa della cultura e delle civiltà locali, impianta una nuova monocultura monolinguistica creando un immenso stato nazionale suddiviso in tanti sub-stati che equivalgono a delle grandi regioni a statuto speciale.

E’ possibile una cosa del genere in Europa? Si, ma per farlo bisogna distruggere i popoli europei, le loro culture, la storia, ecc. Era realistico?
Ovviamente, no.

Esistevano ed esistono tutt’ora 3 fondamentali diversità rispetto al federalismo americano.

Nel mercato europeo non ci sono le tre condizioni che hanno permesso il federalismo americano: una lingua comune, una omogeneità culturale, la mobilità del lavoro.

Milioni di persone che non viaggiano in Europa, non parlano le lingue e lavorano nel proprio Paese si scoprono, improvvisamente, convinte europeisti.

Tutto questo è stato prodotto con il più subdolo degli inganni e con la complicità degli economisti prezzolati.

Si è riusciti a convincere milioni di persone che il processo di integrazione potesse essere effettuato per gradi, partendo da ciò che appariva più semplice: la moneta.
Così, è nata l’idea – apparentemente giusta – di una moneta unica, in assenza di uno Stato unico, di una politica unica, di un fisco unico.

L’inganno, a questo punto, è quasi completo.
Che cosa è stato creato, quindi? Cos’è oggi l’Unione Europea? Nient’altro che una unione tecnocratica, di burocrati non eletti dal popolo, con una moneta unica senza Stato, senza una unione politica: un progetto assolutamente antistorico destinato al fallimento.

Ma, per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro nella storia.

UNA STORIA CRUCIALE: BRETTON WOODS
Dobbiamo tornare indietro alla seconda guerra mondiale.
Nel luglio del 1944, quando ancora imperversava la guerra in Europa e nel Pacifico, le potenze alleate già si preparavano a spartirsi la vittoria.
In quel mese, 730 delegati di 44 nazioni alleate si riunirono per la conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, al Mount Washington Hotel, nella città di Bretton Woods.

In estrema sintesi, cosa si decise?
Che gli Stati Uniti erano i padroni del mondo.

Tutte la valute dovevano essere convertibili in dollari, poiché il sistema era dollaro-centrico. In altri termini, i commerci internazionali sarebbero avvenuti in dollari, i prezzi delle materie prime sarebbero stati in dollari e il petrolio sarebbe stato misurato in dollari.

E non solo.
Si stabilì che le banche centrali avrebbero dovuto mantenere un cambio stabile con il dollaro, per cui se il cambio fosse variato, le altre banche (ad esclusione ovviamente di quella americana) avrebbero dovuto riallinearsi ai valori stabiliti.


United Nations Monetary and Financial Conference,
Bretton Woods (New Hampshire)

Nel momento in cui nasce l’idea di unificazione economica europea, il mondo si trovava quindi in un sistema economico con regime a cambi fissi (Bretton Woods), dove sostanzialmente tutti i Paesi dichiarano la parità nei confronti del dollaro, il cui sottostante era l’oro, e si impegnavano a mantenerla costante.

Nel 1971 avviene un fatto epocale: il regime a cambi fissi di Bretton Woods crolla per mano dell’allora presidente degli Stati Uniti Nixon che sgancia il dollaro dalla sua convertibilità in oro, a causa del’erosione delle riserve auree conseguente alla guerra del Vietnam.

A quel punto in Europa sorge il dubbio se mantenere ognuno le proprie valute nazionali fluttuanti oppure se creare un sistema di cambi fissi per integrare le varie economie europee e per favorire l’integrazione commerciale.

Il problema della moneta unica, quindi, si pone non solo come fase di coronamento del processo di integrazione europea iniziato nel secondo dopoguerra, ma soprattutto come possibile soluzione per la stabilità dei rapporti di scambio tra Paesi che vogliono un mercato unico.

Il primo progetto di un sistema monetario europeo integrato nasce con il Piano Werner, dal nome dell’allora primo ministro lussembrughese che presiedeva il Comitato che si stava occupando di redigerlo. Il rapporto che viene prodotto sostanzialmente analizza le diverse possibilità che avrebbero permesso di realizzare, in diverse fasi, l’unione economica e monetaria europea essendo già state ormai completate le fasi dell’unione doganale e delle politiche agricole comuni.

A causa del crollo del sistema di Bretton Woods, su cui il rapporto Werner si basava, di una certa instabilità dei cambi, shock petroliferi, ecc., non fu mai posto in atto il Piano Werner.

Tutto è pronto per una grande fregatura.

LA GRANDE FREGATURA DELLO SME
Così, i primi tasselli di questa complessa storia prendono il loro posto.
Alla fine degli anni 70 si inizia a lavorare per costituire un altro progetto di integrazione economica e monetaria, lo SME (Sistema Monetario Europeo), al fine di creare in Europa un sistema di cambi fissi del tutto simile a quello dell’ormai tramontato Bretton Woods.

Lo SME è stato il padre dell’attuale euro e prevedeva l’impegno da parte dei Paesi europei che vi aderivano a mantenere una parità di cambio fissa prendendo come riferimento una moneta scritturale, l’ECU, il cui valore era dato dalla media dei cambi delle valute dei Paesi membri.

C’è un detto che recita: “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”.

Anche per lo SME andò proprio così. Infatti, lo SME era stato concepito peggio del sistema di Bretton Woods poiché non era stata prevista alcuna istituzione che finanziasse i Paesi in difficoltà, ovvero quelli che soffrivano dello squilibrio sulla bilancia dei pagamenti (saldo import-export) che li portava ad essere in deficit (disavanzo).

A causa dello SME e di come era stato costituito, gli anni 80 vennero contraddistinti da una elevata quantità di crisi che portarono grande disordine in Europa.

E qui, si creano le premesse per il disastro che ne sarebbe conseguito, poiché da errori, come la storia insegna, spesso derivano altri errori.
Nella prossima puntata, ti racconteremo quali sono stati, e perché l’euro sia un disastro annunciato.

CONCLUSIONE
Mai, come in questi mesi, le persone discutono di un argomento, l’euro, di cui sanno poco o nulla. Spesso, facendo confusione tra la moneta e il Paese, non nato, che di quella moneta avrebbe dovuto essere l’unità di misura per una politica monetaria comune: l’Europa.

Anticipando le riflessioni che faremo alla fine di questo ciclo di articoli, diremo subito che il dibattito tra euro e lira è semplicemente un falso problema.

Il vero problema vero è tutt’altro, e riguarda la proprietà della moneta.
La vera questione è se una moneta sia di proprietà del popolo, e stampata a debito (pubblico) per sostenerne il benessere del popolo, oppure se sia proprietà bancaria di una minima parte (privata).

Un imprenditore che voglia operare nel contesto economico attuale non può non conoscere il mercato e la storia in cui esso si colloca.
Possiamo chiamarlo euro o lira, tallero o doblone, marco o fiorino.

La sostanza non cambia.
Quel che conta davvero è capire di chi sia quella moneta.
Perché l’unica verità, nascosta, è che per questa domanda sono stati assassinati capi di stato.

Perché avevano capito che la moneta deve sostenere, a debito, il bene del popolo. Un debito che sarà sempre ripagato se, avendone lo Stato la proprietà, quel debito sarà contratto con sé stesso.

Nell’interesse democratico del popolo sovrano.

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Ultima modifica: 16 Giugno 2021