768-toL’attività di lobbying della multinazionale californiana Uber, partecipata da Goldman Sachs e Google, ha avuto i primi effetti in Italia. A questo punto occorre fare chiarezza e ristabilire la verità, nell’interesse dei consumatori e di migliaia di lavoratori che, pur non disponendo di risorse miliardarie, svolgono onestamente il proprio lavoro nel rispetto della legge (compresa quella lavoristica e tributaria).

Primo.
L’attività di Uber è oggi illegale. Lo hanno sancito sentenze serissime, e molto ben motivate, di collegi di alta reputazione: da ultimo l’ordinanza del Tribunale di Milano del 2 luglio 2015.

Secondo.
Decisioni giudiziarie analoghe vengono adottate in una sere di paesi europei. In pratica, Uber è fuori legge non solo in Italia, ma la sua attività, in particolare UberPop, viene riconosciuta fuori legge anche in paesi europei come Spagna, Francia, Danimarca e Germania. Ovviamente, ciò che conta non è solo il risultato delle sentenze – peraltro chiarissime – ma anche la loro motivazione (si pensi al Corte Costituzionale francese, Conseil Constitutionel che ha riconosciuto la coerenza del regime francese – analogo a quello italiano – con i valori costituzionali).  E ovviamente stupisce che Autorità “indipendenti” e politici, che dovrebbero essere attenti al sociale, semplicemente ignorino le sentenze della magistratura e soprattutto le ragioni e le prove su cui queste sentenze poggiano.

Terzo.
Grazie alla lobbying di Uber, l’Autorità dei Trasporti italiana chiede una modifica della legge. E’ una scorciatoia per cercare di rendere legittimo, ciò che è viceversa totalmente illegittimo ed ingiusto. Ma quello che sorprende di più non è solo che qualcuno si accodi agli interessi di una multinazionale. Ma soprattutto che un organo tecnico – quale l’ART dovrebbe essere – chieda modifiche delle norme senza alcun fondamento tecnico obiettivo e comprovato. ART “asserisce” di aver condotto un’istruttoria, ma nella segnalazione da lei adottata non vi sono numeri, non vi sono analisi, non vi è alcuna considerazione, neanche critica, delle ragioni oggettive su cui poggia la regolazione italiana e su cui poggiano le regolazioni del tutto analoghe dei principali paesi europei.  Solo affermazioni politichegeneriche ed indimostrate, a supporto di un far west regolamentare coerente soltanto con gli interessi di un unico soggetto: la multinazionale Uber, ed i suoi potentissimi soci di capitale.

E’ tempo di dire basta. URI chiede pubblicamente che l’Autorità comunichi i documenti, le analisi ed i riscontri su cui pretende di basare le sue dichiarazioniNon solo. URI rivendica il proprio diritto di difendere le norme esistenti e le proprie ragioni sotto tutti i profili, giuridico, economico e tecnico. URI ha il diritto di farlo, anche perché non ha mai difeso la conservazione. Al contrario, è stato promotore di investimenti tecnologici, clamorosamente, e stranamente, ignorati dall’ART; investimenti analoghi, ed anzi migliori per il consumatore, di quelli sbandierati da Uber. Non è strano che ART nelle sue segnalazioni e relazioni non menzioni neanche minimamente l’App It_Taxi, che pure esiste dal 2012, e che è stata finanziata dai lavoratori e non dal capitale internazionale? E non è singolare questa dimenticanza, visto che proprio la sedicente innovazione dell’app Uber è il comodo passespartout usato per scardinare le regole? Ed ancora, come mai il presidente Camanzi e alcuni politici non fanno cenno delle problematiche lavoristiche, ben scolpite nella recente e nota sentenza del giudice californiano, di cui pure la stampa ha parlato?

E molto altro vi sarebbe da dire sui gravi rischi per il consumatore; ne ha parlato di recente il Corriere della Sera, che si è procurato il contratto Uber-autisti ed ha correttamente informato il pubblico sulla circostanza –  davvero incredibile – che Uber declina ogni responsabilità. Ne parla il Corriere della Sera, ma non il Presidente di ART, che nella sua segnalazione mostra di non conoscere affatto quel contratto.

E’ tempo di agire. URI chiederà conto e ragione di queste iniziative che sono agli antipodi delle best practice europee. E’ vero o no, Presidente Camanzi, che la Commissione europea, consapevole della serietà delle ragioni che sono alla base dei regimi del trasporto pubblico non di linea di tanti Stati membri, non solo non ha assecondato le pressioni di Uber e dei suoi lobbisti, ma ha deciso di avviare una riflessione ed un’analisi tecnica ed approfondita, senza sposare acriticamente gli interessi della deregulation selvaggia.

URI come si è sempre mossa, si muoverà ora, in tutte le sedi, a tutela come sempre dell’interesse del pubblico e dei lavoratori del settore.

 

Loreno Bittarelli

Presidente URI – Unione Radiotaxi Italiani

 

Ultima modifica: 15 Luglio 2015