Rispondo al prof. Manasse, non trovandomi, come egli provocatoriamente asserisce un po’ da “manganellatore” orbo, “ad assaltare le sedi dei partiti a Roma”, così come, d’altra parte, il 99% dei miei colleghi.

Intanto, il prof. Manasse ha riconosciuto che “non si possono confrontare tariffe di paesi molto diversi” come gli ho twittato dopo aver letto la sua precedente apologia del qualunquismo anti-taxi. Egli, giustifica allora, rischiando davvero il ridicolo, questo suo inconsistente e fuorviante confronto, col rapporto delle “tariffe [taxi] delle diverse città al costo dei mezzi pubblici”. Ma anche questo è un confronto, quanto meno, fuorviante, poiché drogato. Infatti, se considerasse che i mezzi pubblici di Milano e Roma sono sorretti dalla contribuzione pubblica, saprebbe che il prezzo reale del tpl di linea si aggira intorno ai 4,5€ a biglietto, e non a quello politico di 1,20/1,50€. La stessa cosa non può dirsi per Londra, dove tale settore è privatizzato (ed infatti è carissimo). Così, se consideriamo tale determinante fattore, i risultati ottenuti dal professore, sono completamente stravolti, finendo col risultare normali, anche da tale punto di vista, il prezzo dei taxi italiani. Infatti, se quel rapporto per Londra è pari a 2,5 e per New York è 4,2, a Roma, dal 9 considerato dal prof. Manasse si passa a 3,2, mentre a Milano si passa da 11 a 3,8. Non un disastro dunque. Tutt’altro!

Però il professore, affina allora la sua indagine, e finalmente capisce quanto sia importante il raffronto con il costo della vita, per avere un confronto con un po’ di senso. Ma anche qui le sue conclusioni sono affrettate. Primariamente, si rifà ad un sito di raccolta dati open source (numbeo.com). Da una veloce analisi di questa fonte in merito al settore taxi, ne emergono subito evidenti imprecisioni: la partenza del tassametro a Milano e Roma non è 5€, ma di oltre un euro più bassa, e la tariffa oraria di Roma non è più cara del 30% di quella di Milano, ma più economica. Purtroppo per il prof. Manasse, così voglioso di suffragare la tesi pro disruptive economy che Uber incarna – e che recenti studi considerano efficace in solo il 9% dei casi -, mettendo alla berlina il servizio taxi italiano, la più competente comparazione in materia resta quella degli Automobil Club europei del 2011, Eurotest, che collocava le tariffe taxi di Roma e Milano tra le più convenienti d’Europa (la 7a e l’8a città più convenienti tra 22 città europee considerate), e, prendendo in esame anche aspetti qualitativi, poneva Milano tra i migliori servizi taxi d’Europa (4a tra 22) e Roma (21a tra 22), purtroppo, tra quelli più bassi.

 

 

Merita però un inciso il caso romano: a Roma, se c’è qualcosa che funziona, è proprio il servizio taxi, in una palude dove ben poco funziona. Vado spesso a Roma ed ogni volta che ho chiamato il taxi – fatta eccezione per quel sabato notte durante gli Internazionali di tennis, durante il quale attesi un’ora in piazza Navona… ma, prof. Manasse, dove sarebbe in questo caso la stranezza per un servizio a regime amministrato contingentato?! – non attendo mai più di tre minuti. Chiamo con l’app itTaxi, mi vedo avvicinare il taxi, pago alternativamente con ogni mezzo elettronico concessomi (app, sms o carta di credito), o in contanti se preferisco, e giudico (ovviamente con le 5 stellette massimo concesse!) il tassista. Purtroppo, l’efficienza di compagnie come il 3570 ed altre, è minata dalla qualità di circa un 20% dei taxi romani che, non essendo associati ad alcuna compagnia che ne eserciti qualche forma di controllo sussidiario e solidale, tende a non essere all’altezza di ciò che in generale il settore sa invece esprimere grazie ad una sorta di azionariato diffuso e atomizzato tra piccoli artigiani del settore, ed all’istituto cooperativistico grazie a cui questi si associano in gran parte delle città italiane, per realizzare il costante avanzamento tecnologico del settore. A questo ultimo riguardo, si consideri ciò che in molti tendono a dare per scontato: il servizio radiotaxi non è presente, finanche in diverse città degli Stati Uniti, ed è un’infrastruttura di interesse pubblico che non ha alcun costo per la contribuzione generale, visto che è totalmente rimesso agli investimenti degli operatori del settore.

Atresì, un altro fattore determinante da considerare, per giudicare l’economia del settore taxi, è ovviamente il lato dei costi. A questo proposito ci viene in soccorso l’ultima indagine del centro studi della Cgia di Mestre, secondo cui i taxi italiani hanno costi più alti della media europea del: 13,4% per il gasolio, del 4,1% per la pressione tributaria, del 57,2% per il premio assicurativo, dell’1,2% per il prezzo d’acquisto dell’auto.

In generale, però, dobbiamo alzare lo sguardo oltre i taxi, per capire qualcosa di più anche sui taxi, chiedendoci quale sia il problema del sistema Italia oggi. Principalmente, il basso potere d’acquisto dei redditi italiani (a loro volta condizionati da una bassa produttività, data dal basso livello d’infrastrutturazione del Paese: è qua che la politica deve lavorare, e lo fai solo con la spesa pubblica!… ma non nell’Eurosistema). Infatti, a cospetto di un generale alto livello dei prezzi (Milano è 13esima su 71 città considerate dall’annuale indagine sui prezzi Ubs 2015, mentre Roma è 28esima), i salari netti dei lavoratori italiani sono invece molto bassi (al 29esimo posto Milano, mentre più congrua la situazione a Roma che si trova al 27esimo posto). In pratica, tra i Paesi del Primo mondo,

risultiamo essere in fondo a tutte le comparazioni, in compagnia di Grecia, Portogallo e Spagna. Così, sempre prendendo spunto dalle tavole Ubs 2015, Milano in termini di capacità d’acquisto si trova al 39esimo posto, con San Paolo, Tel Aviv, Johannesburg messe meglio, e Roma poco più in su. Ed il confronto sarebbe ancor più penalizzante se ci attenessimo alle sole città dell’area euro! Nella parte alta della classifica, invece, proprio a confutazione della tesi neo-liberista (o qualunquista?) secondo cui dove le cose costano poco si vivrebbe meglio,

proprio le città svizzere, lussemburghesi, americane ed australiane, dove in presenza di alti costi di prodotti e servizi, i più alti stipendi, consentono comunque di avere un alto potere di acquisto. Concludendo, tutto ciò ci dice che, pur in presenza di taxi italiani con un costo medio-basso – dunque gli uberisti lascino perdere questo argomento e si preoccupino del surge pricing a cui vorrebbero sottoporre i consumatori italiani, nonché della concorrenza sleale attuata dalla multinazionale operando mediamente sotto costo per il 41% dei costi totali, per poi ricorrere al famoso “calcio alla scala” di cui già nell’800 scriveva Friedrich List accusando il liberoscambismo esaltato dall’Impero britannico – il costo della vita in Italia, è eccezionalmente alto. Ma d’altra parte, questo è il destino delle economie a cui i radical chic negli ultimi venticinque anni hanno condannato il Bel Paese, con un alto flusso turistico ma un basso livello infrastrutturale e produttivo.

Claudio Giudici


Questo è l’indirizzo dell’articolo del Sole24Ore a cui la replica del Presidente Giudici fa riferimento:
http://bit.ly/2m8Zcsj


 

 

Ultima modifica: 6 Marzo 2017